Scindere il contenuto narrativo dalla qualità tecnica dell’immagine, significa travisare la comprensione di cosa faccia del cinema una forma d’arte. Non a caso, Vittorio Storaro ha intitolato il suo recente libro Scrivere con la luce ed è solito riferirsi alla propria arte chiamandola foto-grafia, appunto. Siamo dunque nell’ambito dell’arte di narrare – descrivere emozioni, sentimenti, passioni, situazioni, contesti, tempi, luoghi – attraverso la luce, le ombre e i colori. Descrivendo quanto realizzato in Apocalipse now di Francis Ford Coppola, Storaro sostiene che: «Il discorso sul “senso” delle civilizzazioni si può tentare di rappresentare cinematograficamente attraverso un discorso sul senso della purezza della Luce. L’abuso esistente del colore tecnologico sul colore naturale, sarà in termini cinematografici il conflitto centrale del film (…). Una denuncia del tipo di violazione che il colore artificiale opera sul colore naturale.» Attraverso le opere presentate, in cui Storaro è stato Direttore della fotografia, sarà possibile ripercorrere le tappe della sua straordinaria carriera e, soprattutto, ammirare la potenzialità narrativa e simbolica che luce e colori assumono nelle sue mani.
Vittorio Storaro, nato a Roma il 24 giugno 1940, è un maestro riconosciuto internazionalmente della fotografia cinematografica. Dopo il suo primo e unico film in bianco e nero, Giovinezza giovinezza di Franco Rossi (1965), la sua straordinaria importanza nel cinema italiano e internazionale sarà legata esclusivamente al colore, al suo uso intenso e talvolta fortemente simbolico dal punto di vista narrativo. Il conflitto fra luce naturale e luce artificiale guida i primi passi della sua carriera: la luce del giorno prevale in La strategia del ragno (1970) e Il conformista (1970) di Bernardo Bertolucci. Allo stesso tempo, prende sempre maggiore rilievo la riflessione teorica sulla luce e i colori. Concretamente, in Ultimo tango a Parigi (1972) accosta e integra le scale cromatiche del giorno e della notte risolvendo gran parte delle sequenze su tonalità molto calde. In Apocalypse now (1979) di Francis Ford Coppola, suo primo premio Oscar, campeggiano le luci del giorno squarciate dal rosso-arancio delle esplosioni e quelle violente delle illuminazioni notturne. Nel capolavoro Un sogno lungo un giorno (1981) di Coppola spiccano impasti suggestivi di luci e ombre mutevoli e un complesso meccanismo di cambiamento di scena all’interno della stessa inquadratura. Il suo lavoro successivo, soprattutto per Bertolucci - L’ultimo imperatore, Il piccolo buddha, Il te nel deserto - e per Warren Beatty - Reds, Dick Tracy, Bullworth - è sempre di altissima qualità, tale da permettergli di vincere ancora due Oscar per la fotografia e un terzo alla carriera. Testimonianza dell’intensa attività teorica è la pubblicazione di Scrivere con la Luce, Milano, Electa, 2001
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