Cinema, musica e altre proiezioni della vita felice
Umberto Curi

Cinema, musica e altre proiezioni della vita felice

Conduce:
Venerdì 21 settembre 2001
Carpi Palazzo dei Pio - Sala dei Mori
Una chiarificazione del rapporto tra filosofia, cinema e felicità può essere condotto, secondo Umberto Curi, a partire dalle due definizioni di felicità proprie della Grecia antica. La prima, makaria, indica lo stato di coloro che hanno raggiunto stabilmente una felicità piena e compiuta. Tale stato di beatitudine, tuttavia, è raggiugibile solamente dagli dei e dai defunti, in particolare gli eroi. Si tratta, evidentemente, di una situazione caratterizzata dal non essere soggetti al tempo e dalla lontananza utopica da ogni luogo terrestre. La seconda forma di felicità descritta in epoca classica è l’eudaimonia. La radice del termine - demone, carattere o, in latino, genio - indica l’unica possibilità di felicità che è dato esperire agli uomini in vita: l’essere contenti di sé (letteralmente: stare nei propri limiti). Colui che gode della makaria è colui che vede perfettamente, non solo ciò che si manifesta nelle apparenze, ma anche ciò che comunemente resterebbe invisibile e che, in termini moderni, potrebbe definirsi come la struttura intelligibile. Il passaggio tra cinema e felicità intesa come makaria è dunque evidente, poiché nel cinema si dà espressamente la possibilità di vedere ciò che altrimenti sarebbe invisibile. Il cinema sembra infatti promettere la possibilità di una visione completa, in cui si dà la medesima infrazione delle dimensioni spazio-temporali proprie della makaria. Allo stesso tempo, il cinema conserva però la costante consapevolezza di essere fictio. Il cinema può dunque esprimere l’inattingibilità della makaria, visto che essa può darsi solo nell’ambito di un orizzonte fittizio, e all’interno di una condizione umana immaginata e desiderata ma non attinta.

Umberto Curi è professore emerito di Storia della filosofia presso l’Università di Padova. Ha insegnato anche presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È stato visiting professor presso numerosi atenei europei e americani. Ha diretto la Fondazione culturale Istituto Gramsci-Veneto ed è stato membro del Consiglio direttivo della Biennale di Venezia. Nelle sue ricerche si è occupato della storia dei mutamenti scientifici per ricostruirne la dinamica epistemologica e filosofica, rivolgendosi a uno studio della tradizione filosofica imperniato sulla relazione tra dolore e conoscenza e sui concetti di mythos e logos, amore, guerra, verità, con particolare attenzione per la tragedia e il mito dell’antica Grecia. Nei suoi scritti, ha indagato anche la nozione filosofica di pena e le parole della cura, dedicando, inoltre, studi al rapporto tra il cinema e la filosofia, la poesia e le forme di narrazione contemporanee, il sogno e la realtà. Tra i suoi libri: Straniero (Milano 2010);Via di qua. Imparare a morire (Torino 2011); L’apparire del bello. Nascita di un’idea (Torino 2013); La porta stretta. Come diventare maggiorenni (Torino 2015); I figli di Ares. Guerra infinita e terrorismo (Roma 2016); Le parole della cura. Medicina e filosofia (Milano 2017); Veritas indaganda (Nocera Inferiore SA 2018); Il colore dell’inferno. La pena tra vendetta e giustizia (Torino 2019); Film che pensano. Cinema e filosofia (Milano 2020); Parola ai film (con Bartolo Ayroldi Sagarriga, Milano 2021); La morte del tempo (Bologna 2021); Fedeli al sogno. La sostanza onirica da Omero a Derrida (Torino 2021); Parlare con Dio. Un’indagine fra filosofia e teologia (Torino 2024).

 

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